domenica 1 gennaio 2017

PRESENTAZIONE

Ciao a tutti e benvenuti.
È con vero piacere ed anche con un po’ di emozione che scrivo questo primo post del nuovo anno e del nuovo blog.
Chi mi conosce e chi ha seguito il mio percorso fino a qui, sa che io scrivo principalmente per generare ragionamento, per creare pensieri in chi legge.
Molte volte scrivo in maniera provocatoria, è vero, ma lo faccio solo perché il mio obiettivo è quello di creare ragionamento in tutte le persone che leggono. Non mi stancherò mai di ripeterlo.

L’obiettivo principale di questo blog è quello di ricercare la felicità.

Ci sono un sacco di teorie in merito a questo argomento, ma io voglio utilizzare solo un metodo, il mio metodo, per raggiungere l’obiettivo sognato da tutti.

Partirei per questo viaggio da una delle sensazioni che maggiormente ci impedisce non solo di arrivare ai traguardi che ci siamo preposti, ma anche di iniziare e fare il primo passo verso la realizzazione dei nostri sogni è la paura.
All’inizio di questa nuova avventura voglio fare in modo di affrontare subito un ostacolo enorme, perché deve essere evidente a tutti che non è possibile considerarlo sempre come qualcosa di negativo.

Sto parlando della paura. Se fosse qualcosa di positivo?

Ho bisogno di fare una domanda perché, essenzialmente, ho bisogno di una risposta che mi aiuti a capire.

Avete mai pensato alla paura come a qualcosa di positivo? O meglio, avete mai usato la paura come strumento?

In fondo, se ci pensiamo, non abbiamo mai paura quando dobbiamo fare un’azione legata alla nostra attività preferita. Per capirci, non abbiamo mai paura quando stiamo per passare il nostro pomeriggio in riva al mare a prendere il sole mentre sorseggiamo un succo.
Abbiamo paura, però, quando stiamo per aprire una nuova attività e siamo terrorizzati da come possono andare le cose e da quello che potrebbe succedere.
Entrambe le situazioni possono andare malissimo o benissimo.

Inizio questa nuova avventura facendovi una domanda:
Che differenza c’è tra i due attimi prima? Perché un attimo prima di andare in spiaggia abbiamo desiderio di farlo e l’attimo prima di aprire la nostra attività, quella che farà consolidare il nostro futuro, abbiamo paura?

Stiamo mica parlando della stessa sensazione che vediamo per qualche motivo in modi differenti?


consulenza.orientamente@gmail.com


9 commenti:

  1. Caro Stefano,
    innanzi tutto complimenti per il nuovo blog e per il libro che hai pubblicato, il viaggio per la felicità "una storia più o meno semplice", che ho ritenuto una lettura stimolante e decisamente concreta.
    Mi farebbe quindi piacere poter esporre il mio pensiero relativamente alla domanda che hai posto, sempre in un’ottica di condivisione di punti di vista.

    Cit. “Che differenza c’è tra i due attimi prima? Perché un attimo prima di andare in spiaggia abbiamo desiderio di farlo e l’attimo prima di aprire la nostra attività, quella che farà consolidare il nostro futuro, abbiamo paura?”.

    Io sono incline a pensare che questa differenza dipenda dal grado di familiarità che abbiamo rispetto al tipo di situazione che andiamo ad affrontare. Quando ci capita di agire all’interno di una sfera conosciuta, di un’attività che siamo abituati a compiere, di una situazione che abbiamo già affrontato in passato con successo, probabilmente il nostro io si sente più sicuro, consapevole di avere gli strumenti per vivere con serenità quanto ci sta capitando. Questo credo che possa avvenire non solo in situazioni che appartengono alla sfera di ciò che, per noi stessi, riteniamo positivo, ma anche in attività più complesse, ma in cui noi ci riteniamo “sicuri”, riuscendo a tenere bene a bada la paura.
    Se invece ci affacciamo a qualcosa di incerto, magari di nuovo, in cui non ci siamo mai cimentati, la paura di fronte a noi potrebbe apparire con più evidenza. Questo perché non sappiamo a cosa andremo in contro, o forse proprio perché lo sappiamo, perchà abbiamo chiari quelli che potrebbero essere i rischi davanti a noi.
    Credo quindi che provare a fare una stima preventiva di quelli che sono gli aspetti potenzialmente positivi e negativi, soprattutto quando ci affacciamo al nuovo, sia indispensabile per acquisire consapevolezza e affrontare le nostre paure.
    Sono i nostri desideri, ciò in cui crediamo, quello che noi vogliamo realizzare, che desideriamo per noi stessi e per coloro a cui vogliamo bene, che ci spingono ad affrontare le nostre paure, ad assumere dei rischi per provare a raggiungere un obiettivo.
    Credo quindi che la paura possa essere presa a braccetto, seppure sia difficile, per mostrarle la nostra forza di superare gli ostacoli, come una compagna che ci è accanto nella nostra vita, uno stimolo da affrontare e, perché no, non come una nemica ma un’alleata che ci pemette di acquisire consapevolezza dei nostri obiettivi e di quello che realizzeremo.
    Forse se non avessimo paura affronteremo la vita con più superficialità, andando incontro indistintamente tutte le esperienze, tutte le scelte, senza pensarci più di tanto. Ma anche chi non ha paura può cadere (anzi, credo che il rischio che avvenga sarebbe molto più alto), e un “capitombolo” di questo tipo potrebbe causare delle ferite più difficili da curare. Certo, nulla ci impedisce di perdere la nostra sfida comunque, di cadere anche se abbiamo preso in considerazione i rischi con consapevolezza, ma sono fermanente convinta che anche nella “sconfitta” potremo dirci comunque arricchiti dal percorso che ci ha portato lì, avendoci insegnato qualcosa, e rialzarsi sarà più semplice.
    Questo è quello che penso, difficile da realizzare molto probabilmente, ma un percorso che può portare forse a essere un po’ più sereni.
    Perdona la risposta lunga e forse un po’ retorica, ma ho provato a dare una forma ai miei pensieri.
    A presto,
    Elena

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    1. Ciao Ele!
      Intanto grazie per aver commentato il mio post e grazie per l'incitamento!
      Leggendo mi è venuta in mente una cosa. Perché parli di un grado di familiarità? Voglio dire..perché presupponi che tra l'aprire una nuova attività e l'andare in spiaggia ci sia un grado di familiarità differente? Perché presupponi che io sia già stato in spiaggia e che non abbia mai aperto un'attività? Correggimi se sbaglio, ma è questa l'idea che colgo.
      Il modo di ragionare che intendo io è molto "strano", mi rendo conto, ma quello che voglio fare è riportare tutto allo stato più semplice possibile.
      Se io non ci fossi mai andato in spiaggia? Se io non sapessi cosa mi aspetta? E se scoprissi lì che l'acqua mi spaventa?
      A questo punto che differenza c'è tra i due attimi prima?
      Perdonami se ritorno indietro, ma deve essere chiaro qual è il metodo che sto seguendo.
      Hai detto un sacco di cose che mi hanno fatto pensare molto, ma quella che mi ha colpito di più è stata la parola "abitudine". Hai parlato di attività che siamo abituati a compiere. Sono d'accordo con te sul fatto che la paura ci aiuti, ma pensi che diminuisca con l'abitudine di fare la stessa cosa? Non pensi che paura ed abitudine siano due cose che, insieme, siano troppo pericolose?
      Grazie mille!

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    2. Ciao Stefano,
      provo a rispondere a quanto mi chiedi, sperando di riuscire a fare un punto delle idee che mi frullano in testa.

      (Premetto che diviso la risposta in due post perché ho superato il massimo dei caratteri, spero vada bene lo stesso).

      Ho parlato di grado di familiarità o abitudine perché penso di essere più incline ad avere paura o di ciò che non conosco, e che quindi mi ricoduce a una scarsa familiarità (ad esempio andare a cavallo se non l’ho mai fatto), oppure di ciò che conosco e, pur avendone familiarità, mi fa sorgere delle paure all’idea di affrontare la situazione (ad esempio fare una puntura se ho paura degli aghi).
      Fermo restando che a me potrebbe far paura andare al mare, anche se ci sono già stata in passato perché ho paura dei pesci, tanto quanto mi farebbe paura aprire un’attività perché bisogna sapersi assumere dei rischi. Data questa consapevolezza potrei comunque andare oltre alla mia paura perché nel primo caso potrei evitare di spingermi al largo dove ci sono pesci più grossi, oppure aprire la mia attività perché, al di là dei rischi che ho provato a stimare, si tratta di quello che realmente vorrei fare nella vita.
      Quello che quindi a primo impatto considero familiarità è forse la propria capacità di fare una stima di ciò che potrebbe accadere in una situazione che sto per affrontare, e credo che probabilmente sia più facile effettuare tale stima quando sono consapevole, più o meno, di ciò che andrò a fare.

      Per tornare alla tua domanda (cit.) “Se io non ci fossi mai andato in spiaggia? Se io non sapessi cosa mi aspetta? E se scoprissi lì che l'acqua mi spaventa?”, forse la risposta potrebbe essere: se io non fossi mai andato in spiaggia probabilmente un po’ di paura, di timori o di incertezza (a seconda del grado di “rischio” che penso la situazione possa presentare, secondo una stima assolutamente personale e soggettiva), ce l’avrei!
      (continua...)

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    3. (continua...)
      (cit.) “A questo punto che differenza c'è tra i due attimi prima?”. Credo nessuna, la paura è la stessa, magari con un grado di intensità diversa, ma penso che si tratti dello stesso stato d’animo.

      (cit.) “Sono d'accordo con te sul fatto che la paura ci aiuti, ma pensi che diminuisca con l'abitudine di fare la stessa cosa?”. Sì, credo che la paura diminuisca con l’abitudine di svolgere un’attività, ad esempio perché ci ha permesso di scoprire che sappiamo affrontare la situazione, portare a casa dei successi, divertirci spensieratamente, non correre rischi, ecc. Ma penso allo stesso tempo che se all’interno della sfera del “familiare” si dovesse inserire una variabile nuova, tale cambiamento potrebbe farci sorgere delle paure. Scrivo un esempio che mi è venuto in mente mentre sto digitando queste righe.
      Ho appena preso la patente e ho poca esperienza alla guida, sebbene abbia superato con successo l’esame. Sono abituata guidare per le strade della mia cittadina poco trafficata. La prima volta che devo prendere l’autostrata, pensando alla situazione che dovrò affrontare, iniziano a sorgermi dei timori: e se dovessi sbagliare qualcosa? Saprò gestire la macchina andando più veloce del solito? E se incontrerò lungo il tragitto dei camion? Bene, decido comunque di entrare in autostrada, è una necessità percorrere quel tragitto e in fondo io so guidare, affonto le mie paure. Perfetto, arrivo sana e salva alla destinazione! Capita una seconda volta, molto bene, una terza, ottimo, e così via. Alla decima volta che sorgerà la necessità di entrare in autostrata, anche facendo un tragitto diverso magari, so che per me si tratta di una situazione familiare: so gestire la velocità con prudenza, riesco a superare i camion se necessario, leggo i cartelli e azzecco l’uscita giusta. Molte delle paure iniziali sono tenute a bada da una sicurezza acquisita dalle esperienze che ho maturato.
      Ma se introduco una variabile che soggettivamente mi spaventa? E se mentre percorro l’autostrada inizia una grande nevicata? La macchina slitta, la visibilità è ridotta…cosa faccio? Eccola lì, la paura che in quella situazione familiare torna ad affacciarsi dalla finestra aperta dall’imprevisto. Cosa fare quindi? Credo affrontare la paura, e riecco la stima dei pro e dei contro: rallento, anche se probabilmente arriverò a casa più tardi del previsto, abbasso la musica della radio per concentrarmi meglio sulla strada, anche se il viaggio si farà più solitario, e, se necessario, mi fermo all’area di sosta in attesa che la situazione meteo migliori. La paura mi ha dato uno stimolo di riflessione per essere in una situazione di sicurezza.

      Non saprei come risponderti invece all’ultima domanda che hai posto: (cit.) “Non pensi che paura ed abitudine siano due cose che, insieme, siano troppo pericolose?”. Tu quale rischio scorgi? Mi dai di che pensare… Così su due piedi ti direi che se trattate con equilibrio, senza dimenticarsi della reciproca esistenza, possano convivere insieme.

      A presto!
      Elena

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    4. Eccomi, perdona il ritardo, ma ci sono.
      Non so da dove iniziare, ma partirei dalla familiarità.
      E' molto interessante quello che scrivi e sono davvero contento che tu abbia riservato queste parole per il mio blog, ma vedo soltanto una complicazione: ci sono troppe variabili che mi farebbero impazzire se dovessi prenderle tutte in considerazione. Voglio dire semplicemente che i due attimi prima di fare un'azione non devono diventare il momento del ragionamento perché possiamo non uscirne vivi.
      La domanda che ho fatto in merito alla possibilità che io non sia mai andato in spiaggia, non voleva fare in modo che partissero ragionamenti matematici complessi che ci potrebbero addirittura far perdere il conto, ma voleva far cadere l'attenzione sui momenti che stanno prima di fare una scelta, non su quello che potrebbe succedere dopo perché nessuno di noi è mago.
      La semplicità che sta alla base della mia idea di felicità è quella che si ferma al momento che viviamo perché è quello che ci porta alla sensazione di felicità.
      La scelta porta dopo delle conseguenze inevitabili, ma prima cosa c'è? Quell'attimo prima serve a riempirsi la testa di congetture che ci portano da una parte o dall'altra in base a quello che siamo diventati col tempo (ottimisti o pessimisti per esempio) o serve a raggiungere la felicità?
      Non farti trarre in inganno dalle mie domande, perché non voglio sapere cose complesse, ma, anzi, le più semplici che ti vengono in mente!

      Per il resto il rischio che vedo io nell'associare paura ed abitudine è soltanto che una potrebbe prevalere sull'altra annullandola.
      Perché ci tagliamo con un coltello? Forse perché l'abitudine di usarlo ci fa dimenticare che quell'arnese taglia un sacco! Lascia stare che più utilizzi una cosa e più quella diventa parte della tua quotidianità e della tua praticità. Fermati solo a questo perché sta qui la maggior parte delle scelte sbagliate.
      La praticità del suo utilizzo, il fatto che lo usiamo bendati, che possiamo usarlo come strumento di giocoleria non cambia la sua pericolosità e, quindi, la paura che necessariamente dovremmo avere per usarlo.
      Non possiamo permetterci di dimenticarcene una ad un certo punto perché la scelta "sbagliata" è dietro l'angolo.

      Spero di essere riuscito a spiegarmi..non è immediato..forse non è neanche normale ragionare così, ma io voglio essere semplice!

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  2. Ciao Stefano, come stai? Ho letto del libro e questo nuovo blog,complimenti e augironi per tutto.
    La tua non è una riflessione a cui può seguire una risposta univoca e universale,se non in linea di massima.

    In linea di massima andare in spiaggia rappresenta svago,riposo,novità ma rientra nelle novità diciamo consuete o conosciute,e poi dipende dal motivo che ci spinge ad andare in spiaggia.

    Aprire un'attività in linea di massima
    Per quanto sia un desiderio, un obbiettivo implica il rischio di fallimento,responsabilità, ci mette alla prova, ostacoli da superare e altre cose.

    Ma

    Non è detto che sia sempre così
    Ho conosciuto persone andare dritti all'obbiettivo: aprire la loro impresa,sicuri di sé, entusiasti, e non darsi per vinti davanti agli ostacoli,senza alcun timore al contrario provare paura sua spiaggia.

    Da questo deduco che la risposta sia solo soggettiva e va ricercata in sè stessi. La consapevolezza in questo caso è uno strumento fondamentale per comprendere da dove nascono le nostre paure sebbene una cosa la si desideri tanto e finalmente si giunge ad un passo dalla sua realizzazione.

    La paura resta pur sempre un'emozione utile ma non deve impadronirsi di noi. Comprenderla per gestirla é importante. Ci sono paure motivate, paure lecite ma anche paure irrazionali che hanno radici in una parte remota in noi, a volte non sono neppure paure nostre ma paure di riflessologia che abbiamo eredità dal chi ci sta attorno,o da esempi di fallimento di esperienze altrui.
    Di tutto questo va fatto scorrimento e qui solo la conoscenza sincera di noi stessi e la consapevolezza possono venirci in aiuto.
    Ciao

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    1. Ciao! Sto molto bene grazie! Grazie per gli auguri e speriamo bene!
      Intanto ci tengo a dirti che è un piacere tornare a scrivere con te che leggi e commenti i miei post.

      Per il resto che dire, mi trovi perfettamente d'accordo.
      Chiudi con una chiave davvero importante per me che ho anche trattato nel libro.
      Mi limito solo a sottolinearla: "solo la conoscenza sincera di noi stessi e la consapevolezza possono venirci in aiuto".
      Secondo me hai centrato proprio il tema perché, quando chiedo la differenza tra i due attimi prima, faccio riferimento proprio a quello.
      La conoscenza di noi stessi nel momento preciso in cui ci troviamo. In quell'attimo prima di fare qualcosa che sia andare in spiaggia o aprire un'attività.
      Grazie mille!

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  3. Ciao Stefano scusa, rileggo solo adesso il mio commento,l'ho scritto con il tablet che diciamo scrive un po'quel che gli pare😁 non l'ho riletto e quindi corretto di conseguenza. Scusa se è scritto male, l' importante è che tu abbia compreso.

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    1. Ciao!
      Non preoccuparti! Sei stata chiarissima!
      A presto!

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